Arte e inganno. Ho consultato diversi dizionari, quello che mi ha dato risposte più esaurienti, per la voce -arte- è "Eureka 2000" (editrice Tecniche Nuove). Lo Zingarelli (ediz. '59, il mio primo vocabolario, comprato a rate da mia madre) riporta l'etimologia "ars - artis". Non conosco il latino, e non me ne pento, ma sarei tentato di intendere con "artis" qualcosa che ha a che vedere con gli arti e, sebbene vi sia anche chi lavora con i piedi, come primo approccio intenderei l'arte come qualcosa che si fa manualmente. Siccome, tuttavia, troppe cose si fanno con le mani e non sempre il cervello sta dietro ai movimenti, specie quelli ripetitivi, senza anima, terrei per buono solo il concetto di "fare" nel senso di agire con consapevolezza, facendo cose concrete, ovvero che cadano sotto il dominio dei sensi. L'arte ha acquisito, col tempo, molteplici significati. Certamente, fin dall'inizio, fu associata a qualcosa che meravigliò i nostri avi. In un ipotetico villaggio primordiale, qualcuno fu particolarmente abile nel fabbricare oggetti, al punto da destare stupore, quasi avesse una magia, un dono divino. Fu convenuto di chiamare “arte” questa qualità. Artista è, dunque, colui che fa cose in modo straordinario, che riesce a pochi. Eureka riporta questa definizione, per arte (comune anche ad altri dizionari): "Attività umana rivolta alla ricerca del bello, per creare opere attraverso forme, colori, parole o suoni". Più in generale, con “arte” sono indicati anche altri significanti, come: abilità, talento, maestria, capacità, metodo, tecnica, astuzia, espediente ecc. Arte è l'attività in cui capacità e bravura sono usate nell'ideare e creare; quest’ultime qualità, per me, sono la carta d'identità dell'arte. Quando vengono espletate, si entra in un particolare stato di benessere, ci si sente integri. Sentiamo che corpo e mente stanno lavorando per dar vita alla nostra idea, ed il piacere sta proprio nel fatto che quando esprimiamo creatività ci sentiamo liberi, per alcuni istanti usciamo dalla nostra natura terrena per somigliare, in qualche modo, a Dio. Di per sé l'arte è basata sul genio individuale. Così, se si fa parte di una "squadra", l'arte non ci appartiene. Forse ci sarà un capo che fa l'artista, noi diveniamo, allora, collaboranti, sbozzatori, “muletti”. L'arte è poi "finzione" per eccellenza, una riproduzione della realtà, un'imitazione, talora una voluta distorsione per ricercare nell'oggetto qualche significato nascosto che la nostra psiche ci suggerisce. Inutile, quindi, quando non appare evidente, chiedersi cosa l'artista avesse voluto rappresentare. E' qui che si inserisce subdolamente il critico d'arte, che pretende di spiegarcelo lui, a pagamento, con un libro o con una fattura che grava sull'opera che intendiamo acquistare ma che non capiamo bene cosa sia. E’ qui che si cela una prima truffa. E' esattamente quello che la tua mente ti suggerisce, invece, la cosa legittima, che sarà totalmente diversa, di primo acchito, a quella che balza alla mente di un altro. Poi ci si può anche mettere d'accordo, discutendo su quella protuberanza o sull'altra cavità. Tutto questo vale per l'arte cosiddetta arte astratta, con tutte le sue varianti e su tutti i mostri che la psiche, a volte gravemente squilibrata, che l'artista riesce ad esprimere, per così dire. Sovente, e di gusto, l'artista prende in giro il suo acquirente, anche colto e danaroso, propinandogli ogni genere di schifezze e idiozie, facendosele pagare a caro prezzo; è il caso di Picasso, coi suoi bambocci raccartocciati, De Chirico, coi manichini, le bottiglie di Morandi, con centinaia di tele - un'ossessione- o le teste di Modigliani, Fontana coi suoi intagli sulle tele, Arman con le sue "accumulazioni" di rifiuti, Schifani, con le sue elaborazione di schermate TV... da preferire, fra tutti, Ligabue, coi suoi animali che escono dalle tele, intensamente colorati, saturi, o le sue visioni deliranti, ma sincere, espressioni della sua psiche sofferente. Se ti piacciono e vuoi spenderci una fortuna, nessuno può dirti nulla ma - per carità - non esistono intenditori d'arte, solo furfanti matricolati che vogliono un gruzzolo di denaro per loro, senza aver fatto nulla di utile… come dire… papponi dell'arte prostituita. L'attività umana si è sempre più estesa, specializzata; sono entrate a far parte dell'arte anche le opere intellettuali. Così, accanto alle espressioni estetiche: pittura, scultura, architettura, dove entra lo spirito dell'artista, il lavoro dell'intelletto; ci sono le attività minori "tèkne" (secondo Platone) fra cui l'artigianato, attività basate sulla tecnica esecutiva provetta: la maestria. Secondo Aristotele non rientravano nell'arte le attività scientifiche (nelle quali, tuttavia, il genio c'entra, e molto). Nel medioevo si classificarono le arti nel trivio: Grammatica, Retorica, Dialettica, e nel quadrivio: Musica, Aritmetica, Geometria, Astronomia. Le ultime tre oggi sono considerate scienze, ma, in quel tempo il concetto di “scienza” come oggi è inteso (confronto sistematico con le leggi naturali) non era ancora stato elaborato. D’altra parte, la “matematica” (aritmetica e geometria insieme) è frutto della logica, strumento di un certo tipo di filosofia, precorritrice del metodo scientifico. Le arti del trivio e quadrivio, erano considerate "arti liberali", non servili, per distinguerle dalle "arti meccaniche" servili, perché legate alla tecnica (artigianato), con minore impegno intellettuale ma certamente più utile per la vita quotidiana; ma si tratta di classificazioni umane, speculative, fondamentalmente usate per creare gerarchie di potere, intellettuale ed economico e, alla fin fine, sfruttamento. E' il caso della retorica, quando le parole sono usate in modo elegante, forbito, ma tutt'altro che chiaro per chi ascolta, che sarebbe comunque in grado di capire quei concetti se le parole venissero usate per il fine che ne ha giustificato l'invenzione. Lo fanno politici, professori, avvocati, per far bella figura con quelli di pari istruzione e, al tempo stesso, per tener lontani coloro che non fanno parte della "casta". Oggi esistono linguaggi professionali, che solo chi ha una specializzazione riesce a capire. Possono essere nati per praticità ma l'uso speculativo (= truffaldino) si estende anche a questi, perchè è nell'uomo, antico e moderno, divorare l'altro, a meno che non gli serva per produrre reddito. Costoro sono dunque portati ad usare il latino "Altrimenti" dicono a se stessi "che l'abbiamo studiato a fare?". A volte sbagliano, come qualcuno che può fa rilevare, perchè la memoria tende a tradire col tempo, ma tanto nessuno se ne accorge, essendo il latino lingua sempre più morta, senza rimpianti, utile solo etimologicamente, qualche volta ma, col caos linguistico col quale oggi abbiamo sempre più a che fare, quella locuzione diventa un ostacolo nella lettura, che si salta volentieri, tanto di solito serve solo per eleganza. Se, invece, la si sente pronunciare, ci si volta dall'altra parte, lasciando il meschinotto latinomane, immerso nella propria vergognosa tronfiaggine, quasi avesse emesso un peto puzzolente e rumoroso. Se ritieni di dover dire qualcosa di importante, dillo. Se è veramente importante si tiene su da sola, senza appoggiarsi alla locuzione latina di un saggio (o presunto tale) di un passato che a volte sarebbe meglio lasciar sepolto... ne hanno avute di miserie le civiltà greche, latine, musulmane. . Continua comunque ad essere studiato, il latino, insieme al greco, ancor più ostico, semplicemente perchè inserito nei programmi scolastici generatori di "caste" sociali, con propri linguaggi, destinate ad accampare privilegi, nella formazione delle successive caste professionali, sorta di logge massoniche. Chi usa il latino vuol soltanto far capire all'altro che ha a che fare con uno che ha studiato nel liceo classico, che dovrebbe invece essere un handicap averlo fatto (se solo si pensa a quella nuvola di pop corn che è la mitologia, nella quale navigano bene gli psichiatri). Il ridicolo è dietro l'angolo, come quando si usano frasi latine per "firmare" un articolo su Internet, che comprende solo chi le ha scritte e chi appartiene alla casta, come il gesto convenuto e misterioso del massone o del mafioso. Il linguaggio è convenzione, non cultura in se, è uno strumento di espressione, non un fine; la retorica sovverte questo valore a favore della persona colta che, non dimentichiamolo, è sempre un essere umano, quindi un animale vestito, che può fare in ogni momento cattivo uso delle sue conoscenze, per mettere nel sacco l'altro. Nel rinascimento si diede particolare importanza alla ricerca del bello, inteso come equilibrio (formale ed estetico). Il barocco è l'arte bella, intesa come puro piacere per la visione. Oggi il barocco è quasi sinonimo di kitsch, non le opere originali, intendiamoci, ma le riproduzioni. Tuttavia, per me, non portarsi in casa un bel po’ di kitsch, quando piace, è più grave del senso di colpa che sopporta chi non ha ceduto alla voglia di possederlo. Quanti estimatori d’arte moderna, sotto sotto, magari in cantina, nascondono intere collezioni di oggetti barocchi riprodotti, da godere in modo esclusivo? Nel XVIII secolo, la produzione industriale, attraverso le macchine, ha ridotto l'artigianato a poca cosa: come il falegname che fa un mobile di buona qualità, su misura, oppure lo scultore che riproduce il busto di un cliente per un tempietto sepolcrale (c’è a chi piace). Lo stagnino, l'elettricista, il meccanico, il carrozziere, l'imbianchino…. sono operai, più che artigiani, spesso truffaldini, secondo certe indagini di “Striscia la Notizia”. "Arts e Crafts" è fra i movimenti nati per conciliare l'arte bella con la produzione industriale - e siano ai nostri giorni -. Oggi c’è la tendenza a dare all’arte un significato più tecnico, mentre l’”arte bella” vale per estetica. Tralascio gli innumerevoli significati di arte, elencati nei dizionari, a favore di qualche considerazione psicologica. L'arte può essere intesa come comunicazione, ovverosia, dopo che il "genio" si è espresso, si vorrebbe mostrare agli altri la nostra opera. Sorge, quindi, il bisogno, da parte dell’artista, di dare corpo al messaggio, attraverso l’opera d’arte. Non sempre questa comunicazione riesce, in quanto ciascuno di noi percepisce un mondo condiviso ed un altro - incomunicabile - vissuto nel privato. Da qui i problemi d’interpretazione di alcune opere d’arte, essenzialmente astratte, ma non sempre. Ad es. “La Gioconda”, donna misteriosa, dal sorriso enigmatico. Una studiosa statunitense, dopo un’analisi di grafica del dipinto, al computer, trovò molti tratti insolitamente coincidenti con il volto dello stesso Leonardo, al punto da potersi interpretare come un autoritratto “criptato”. E’ nota l’omosessualità di questo geniale artista e scienziato. Freud, in uno studio sul genio umano, notò errori significativi nei grafici rappresentanti i genitali del corpo della donna, riportati in uno studio anatomico di un cadavere. Fatto inspiegabile, poiché Leonardo fu anche uno dei primi anatomisti, a meno di non interpretare l’errore come una sorta di ostilità nei confronti del corpo femminile. Freud studiò alcuni quadri di Leonardo, scoprendo figure nascoste nell’allegoria che il quadro rappresentava. Come dire “un quadro nel quadro”. A Leonardo piaceva celare (si pensi alla sua scrittura rovesciata), creare interpretazioni plurime nelle sue opere d’arte, probabilmente ciò lo divertiva. Il suo cervello, estremamente efficiente, era capace di cogliere, contemporaneamente, più aspetti della realtà fisica: percepire lo spazio, i volumi, le dimensioni, il movimento degli oggetti come ad altri non era possibile. Nel creare un’opera d’arte, possiamo scegliere qualcosa che ci rappresenti, da evocare e lasciare ai posteri, per divenire, in qualche modo, immortali (tesi sostenuta da Leopardi). E’ il caso delle pitture e dei grafici rupestri, o delle caverne, lasciati dagli uomini primitivi. C’è l’arte come dimostrazione della propria grandezza, maturità, genio, affermazione. Perché è utopica l’immortalità resaci da un’opera d’arte? Anzitutto perché vale per pochi eletti e poi perché, di fatto, non possiamo viverla, ma solo immaginarcela mentre siamo in vita. E’ consolatoria nei confronti della morte. Noi non saremo lì a goderci il successo e poi… potrebbero ricordarci per qualcosa che non ci piace di noi. C’è l’arte di riflesso, come scelta di un’opera fatta dagli altri: i poster affissi nella nostra cameretta, da adolescenti; la rock star che è grande al posto nostro; e poi l’arredamento… una questione di gusti, qui ogni soluzione è possibile. Ci sono ambienti che ci fanno sentir bene ma nei quali non vorremmo vivere ogni giorno della nostra vita. Alla casa ci si affeziona al punto che, molti vecchi, perdono la loro identità spostandoli, è come se gli avessero portato via una parte dei ricordi. Il barbone non cambierebbe la sua vecchia roulotte per una albergo a cinque stelle, meno che mai il pericoloso dormitorio della Caritas, ove avvengono ruberie e stupri, fra gli stessi "beneficati". La mania del nuovo o del sempre diverso, porta a progettare edifici singolari come quello del Beaubourg, a Parigi o la piramide di vetro nel cortile di accesso al Louvre, entrambi replicati in altri musei. Si tratta di costruzioni semplicemente orripilanti. Ce le hanno imposte, non possiamo distruggerle lanciandoci sopra un aereo carico di carburante, come fu per le Torri Gemelle, anch’esse mostruose, inutilmente alte, con altissimi costi di manutenzione, come per tutti i grattacieli, la cui fine prematura è segnata. La gente si abitua al bello come al brutto: in un paesino dell’Italia centrale, il sindaco (sicuramente comunista) permise ad uno scultore orientale di disseminare nei giardini del paese, alcune sue opere. Non piacquero alla gente del posto, ma ormai erano lì e non potevano esser rimosse. Molti anni dopo si decise di spostarle per ristrutturare il parco e i cittadini ne lamentarono l’assenza. Indubbiamente gli architetti contano su questo: prima o poi la gente si abituerà alle loro originali e quasi sempre orribili soluzioni, cercando di forzare un nuovo concetto del bello, fino a cambiare gusti. Il fatto è che i cittadini sono indifesi, non possono far nulla se non lamentarsi, tanto nessuno li ascolta. Solo in occasione di rivoluzioni si pone mano al tritolo per distruggere tali obbrobri. A volte il nulla, ovvero il vuoto, lo spazio, è preferibile a qualsiasi altro oggetto, come spesso propongono gli architetti giapponesi, specie dove lo spazio manca, per sovrappopolazione, come in Giappone, appunto. L’industria del bello è invece più prudente: fa ricerche di mercato prima di proporre nuovi prodotti, segue le reazioni del pubblico, per i prodotti innovati e cambia design in caso d’insuccessi. Ma si tratta di produzioni di massa; nell’arte si cerca di rischiare di più e si mandano in avanscoperta i critici d’arte a dire cos’è che dovrà piacere, imbonendo il pubblico. L'inganno, dunque, è l’altra faccia della comunicazione. Può esistere non voluto, come malinteso, oppure costruito, progettato “a tavolino” e mercificato, come nelle opere d’arte. Nel nostro mondo specialistico ci sono quelli che si occupano d'arte per professione. Fatta eccezione per i docenti e per i critici, gli altri sono perlopiù venditori, galleristi, Il talento, il genio, sono “prodotti” che vanno lanciati, esattamente come fossero casalinghi da vendere via etere. Dalle biografie dei pittori (ma non fanno eccezione gli altri artisti), sappiamo come molti di loro siano morti fra gli stenti. Solo dopo la loro dipartita i quadri hanno avuto successo. Non è un caso, un pittore vale di più dopo la sua morte, perché non potrà produrre altri quadri e, quindi, quelli rimasti aumentano di valore; esattamente come accade per i francobolli e per le monete. E’ pur vero che ci sono stati artisti che hanno sempre venduto bene i loro quadri, anche da giovani, Picasso è uno di questi, ma si tratta di eccezioni. Prendo come esempio l’arte pittorica ma l’analisi si può estendere a numerosi altri generi d’arte. Cos’è che rende famoso un pittore o un genere di pittura? Critici e mercanti sono il perno sul quale ruota il mercato dell’arte e l’orientamento degli acquirenti. E’ passato il tempo in cui la riproduzione perfetta della realtà, il significato della scena rappresentata determinava il valore dell’opera e, al tempo stesso, del pittore, e forse di qualche altro galoppino che non so. Comunque, questa congrega, per uscire dal ristagno delle opere d'arte di un certo stile, decide di "mandare avanti" un giovane che, in preda ai morsi della fame, (o sotto i fumi dell'alcol o della cocaina) abbia disegnato qualcosa di orribile. Aaaaahhhhhgggg!!! Non spaventatevi, è l'urlo del critico che ha scoperto una nuova forma d'arte. Subito quattro soldi all'artista e via con il lancio del nuovo stile. A questo punto, però, ci deve essere il martellamento pubblicitario su tutte le gallerie d'arte, sui giornali, sulle riviste, l'invito a tutti i paperoni imbecilli, ma gonfi di denaro, alle presentazioni dei quadri del nuovo genio artistico. La nuova moda è lanciata. E la gente? La gente, temendo di mettere in mostra la propria ignoranza, non fa che ripetere le recensioni dei critici; così si sente "in". Ecco allora il cubismo, il futurismo, il post futurismo (contagiosissimi perché si estendono anche alla letteratura, aumentando così il caos) la pop-art (ricordate? Warrol, lo stracciarolo demente - così lo definisco io-) l'astrattismo (un pozzo di demenza senza fine) ... i quadri materici (con sopra tutto quanto puoi trovare nella pattumiera). La mollo qui, non mi va di andare a scovare in un libro d'arte tutta la paccottiglia che la banda dei critici e mercanti hanno messo in vendita nell'ultimo secolo. Soldi ne circolano tanti ma il successo non si misura dai soldi... o forse si? Fate voi ma tutto questo non è arte. Basta assistere alle aste televisive per rendersi conto di come è caduta in basso l'arte ma, soprattutto, di come è facile truffare il prossimo. Abbiate il coraggio di dire: "Questo quadro fa proprio schifo" anche se firmato da Picasso; entrerete a far parte delle persone libere, che usano i propri sensi, la propria intelligenza, la propria sensibilità, per valutare il mondo. Non abbiate paura, i migliori giudici per l'arte siamo noi stessi. Non riempite le vostre case di porcherie. Una cosa che ho imparato dai giapponesi: gli spazi vuoti sono una forma di arredamento. Molti oggetti del nostro arredo urbano dovrebbero semplicemente scomparire, interi quartieri ingoiati dal vuoto, lasciando alla natura il compito di riempirlo con nuova flora e fauna spontanea, rimarginando le ferite e le amputazioni inferte dall'uomo.
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